Lunedì 29 gennaio si è tenuta al tribunale di Budapest la prima udienza del processo a carico di Ilaria Salis, Tobias Edelhoff e Anna Christina Mehwald, a cui abbiamo assistito come osservatori internazionali per il Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia e per l’Associazione europea dei giuristi e delle giuriste per la democrazia e i diritti umani nel mondo. Ilaria Salis, maestra e cittadina italiana detenuta in pessime condizioni dallo scorso 11 febbraio in un carcere di massima sicurezza, è stata tradotta in aula con i polsi e le caviglie bloccate da manette e con una sorta di guinzaglio che le cingeva la vita, impugnato da un’agente di polizia penitenziaria. Gli imputati erano inoltre seduti lontano dai propri difensori e scortati da agenti in tuta mimetica e passamontagna nero che sono rimasti loro vicino per tutta la durata dell’udienza. Tali circostanze – in netto contrasto con i principi e le tutele previste dal diritto comunitario – oltre a configurare un trattamento degradante e lesivo della dignità, pongono gravi problemi in merito alla possibile influenza sull’imparzialità di giudizio, sulla violazione del diritto di difesa e sulla presunzione di innocenza.
Il reato contestato a Salis è lesioni potenzialmente mortali a fronte di referti medici che attestano lesioni guarite in un lasso di tempo che va dai 5 agli 8 giorni. La pena comminabile va da un minimo di 2 a un massimo di 24 anni, lasciando un eccessivo margine di discrezionalità al giudice. La competenza è, peraltro, affidata ad un giudice monocratico nonostante la pena irrogabile sia potenzialmente superiore ai 20 anni. Inoltre, il giudice che deciderà la causa ha già avuto accesso e conosciuto tutti gli atti dell’accusa, ha già emesso una sentenza di colpevolezza nei confronti del coimputato Edelhoff ed ha rigettato la richiesta di quest’ultimo di sostituzione della misura con altra meno afflittiva, esprimendosi così anche sulla necessità che rimanga in carcere nonostante la pena irrogata sia bassa, 3 anni, di cui uno interamente già scontato.
Nel nostro ordinamento, il reato contestato a Salis non sarebbe perseguibile per assenza della condizione di procedibilità, mancando la querela delle persone offese. In qualsiasi caso sulla base della pena edittale prevista in Ungheria la competenza in Italia sarebbe di un tribunale in composizione collegiale, terzo e imparziale in quanto gli è’ precluso per legge l’ accesso agli atti dell’accusa né può essersi già pronunciato sulla colpevolezza di altri coimputati.
Il diritto di difesa di Salis è stato compromesso anche dal mancato accesso a tutto il materiale probatorio, non avendo avuto la possibilità di visionare i filmati indicati dall’accusa come prove né avendo avuto la disponibilità di tutti i documenti tradotti in lingua italiana.
Infine, fino ad oggi, è stata negata a Salis la possibilità di ottenere gli arresti domiciliari in Italia a fronte della sola esigenza cautelare del pericolo di fuga, non essendole contestato né il pericolo di inquinamento probatorio né quello di reiterazione del reato. Tale circostanza risulta essere particolarmente allarmante tradendo, di fatto, una completa sfiducia nelle istituzioni italiane. La misura ben potrebbe essere eseguita con l’ausilio del c.d. braccialetto elettronico che offrirebbe le più ampie garanzie di controllo, scongiurando il pericolo cui la misura è sottesa.
Ci auguriamo che le autorità diplomatiche e il Governo siano in tempi rapidi in grado di porre fine alle violazioni riscontrate, ristabilendo le garanzie e il rispetto dei diritti che dovrebbero essere riconosciuti a ogni cittadino e a ogni cittadina italiana ed europea.